lunedì 14 aprile 2014

Lo straniero nell'arte (di Riccardo La Rosa Mazza)

L'odalisca e la schiava
Il mondo dell’arte ha ormai sorpassato il problema della nazionalità e dell’appartenenza ad una cultura specifica. Questo lo conferma anche Bice Curiger, curatrice della Biennale di Venezia; in una recente intervista la studiosa afferma che:  “il concetto di nazione non evoca soltanto chiusura e confine ma anche utopia, apertura e ideali molto diversi dal nazionalismo che è stato il disastro del Novecento”, dice anche che gli artisti sono per lo più migranti”.Tra le molteplici forme d’arte,  quella maggiormente incisiva per denunciare i cambiamenti in atto nella nostra società è la fotografia che, sin dalla sua invenzione, racconta senza filtri la realtà intorno a noi. Sempre più spesso,  anche l’arte figurativa  affronta il tema dello straniero, ma esso  non proviene necessariamente da posti lontani; sono sempre più le persone che, pur vivendo nelle nostre stesse città, sono vicine fisicamente ma totalmente lontane sotto tutti gli altri punti di vista.

La grande odalisca
Il diverso però nell’arte crea curiosità e, anche quando ci si può avvalere solo del mezzo pittorico,  i pennelli soddisfano la curiosità verso il diverso, rendendolo fruibile a spettatori ignari della vastità del mondo. Già nel primo Cinquecento, a Padova, Giulio Campagnola raffigura negli affreschi della Scuola del Santo,  un re indigeno; questo accade solo pochi anni dopo la scoperta dell’America da parte di Colombo. Lo straniero però spesso è il pittore medesimo, invitato da regnanti o mecenati oppure costretto a lasciare la terra natia per trovare miglior fortuna.
Gli artisti “stranieri” costituivano talmente un punto di riferimento da modificare talvolta il modus operandi dei pittori locali. Di esempi ne esistono molti, per citarne solo alcuni si può pensare agli artisti fiamminghi che giunsero a Firenze nel 1500, oppure nella Russia del Seicento e del Settecento;  la pittura tradizionale veniva totalmente abbandonata, a favore di una pittura occidentale. L’abitante di terre esotiche e lontane diventò presto oggetto di desiderio e le opere che lo ritraevano individuavano il proprietario, non solo come un uomo colto e illuminato, ma anche veramente ricco; molti capolavori ci ricordano questo: dalla superba tela di Van Dick che raffigura la “Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo” nel 1623, con il giovane servo di colore, alle opere del bellunese Andrea Brustolon, artista tra i maggiori interpreti del barocco veneziano, le cui magnifiche opere lignee ed i suoi preziosi manufatti riproducono moretti o etiopi, ancora imprigionati da pesanti catene, in pose plastiche, mentre sorreggono vasi usati come decorazioni di mobilio.
La curiosità verso lo straniero continuò nel secolo successivo quando l’oriente, agli occhi di un europeo, rappresentava l’evasione verso mondi esotici dove tutto era concesso. La moda e i dipinti, ma più avanti anche la stessa letteratura, contribuivano ad accrescere queste fantasie. Come non ricordare opere quali La grande odalisca del 1814, L’odalisca e la schiava del 1839 oppure Il bagno turco del 1862 di Ingres. Ancora, dopo qualche anno, Edouard Manet nel Ritratto di Emile Zola, testimonia la passione dello scrittore per l’oriente.
Anche nell’arte contemporanea questo complicato tema trova vasto spazio con l’ausilio della fotografia, come nelle immagini di Gabriele Montavano il quale, attraverso l’obiettivo, sceglie quale soggetto principale non solo lo straniero di nazionalità diversa ma, come già accennato precedentemente, anche persone che vivono a stretto contatto con lui, ma allo stesso tempo sono distanti ed estranee.
L’arte unisce popoli e culture in un linguaggio universalmente comprensibile, mirante a livellare differenze che altrimenti diventerebbero insopportabili.
Ognuno di noi, italiano o di un’altra nazionalità, davanti al genio e alla maestria di artisti, si commuove alla medesima maniera; tutto questo ci rende spettatori di un’unica meraviglia e ci fa vivere un’unica e inaspettata gioia. Allora uniamoci in una danza sull’intero mondo come ci dimostra bene Matisse in uno dei suoi quadri più famosi.

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